venerdì 26 luglio 2024

Il cerchio della vita


Un passo dietro l'altro, l'adulto traccia la strada, il piccolo lo segue,  orma su orma, ognuno col suo bagaglio. Ogni passo un racconto, un perché, una spiegazione, in un dialogo senza sosta.

Camminano e parlano,  si raccontano, qualche passo più indietro la donna li segue in silenzio.

Poi rallenta, un po' per rubare uno scatto, un po' per allungare il momento, un po' ripensando all'adulto da bimbo, alle sue mille curiosità, ai suoi mille discorsi. #fatherandson #mother 

giovedì 25 giugno 2015

Un attimo prima che venga giù la neve

Lara si era alzata presto quella mattina, nonostante fosse domenica.
Aveva fatto colazione accarezzando pigramente il gatto, e poi era uscita fuori a stendere i panni.
La notte aveva lasciato una patina di ghiaccio sui parabrezza delle macchine parcheggiate in strada. L’aria era ancora rigida, le mani le dolevano per il freddo e si era dovuta fermare più di una volta a riscaldarle prima di proseguire con il bucato. Poi era tornata in casa, aveva richiuso in fretta il balcone, ed aveva iniziato a lavare i piatti della sera prima canticchiando sottovoce un motivetto scemo per non svegliare suo figlio che ancora dormiva.
Fu un attimo, una frazione di secondo. Lara ebbe la sensazione precisa che qualcosa era cambiato, come se il mondo si fosse spostato di mezzo millimetro dalla linea sulla quale aveva camminato fino ad un istante prima.
Posò nel lavello il piatto che stava insaponando e stette immobile a sentire l’aria. C’era stato un cambiamento quasi impercettibile negli odori, forse. O era il rumore del silenzio che non era uguale, sembrava più ovattato, attutito.
Asciugò le mani al grembiule, si girò verso la finestra e sorrise: l'aveva sentita prima ancora di vederla, un attimo prima che cominciasse a venire giù.
La neve era una cosa insolita dalle sue parti, anche in pieno inverno. Trattenne a stento l’impulso di svegliare suo figlio, e rimase per un po’ a guardare i fiocchi che si scioglievano appena toccavano l’asfalto. Poi riprese a lavare i piatti, riprendendo a canticchiare il motivetto scemo.

- Mi ha chiamato l’avvocato l’altro giorno – disse più tardi l’uomo seduto al tavolo della sua cucina, fissando lo sguardo sulla sigaretta appoggiata nel piattino che Lara gli aveva dato da usare come portacenere – i tre anni sono trascorsi, bisogna pensare al divorzio.
Qualcuno le aveva detto un tempo che il divorzio sarebbe stato più duro da affrontare rispetto alla separazione. Perché è definitivo, forse. O perché riapre vecchie ferite.
Attese, immobile, che arrivasse la botta, e si preparò ad attutirla. Cercò un dolore, anche piccolo, in un punto qualsiasi del corpo. O un rimpianto, una fitta, un rigurgito di rabbia, una cosa qualsiasi.
Ma non successe nulla.
Pensò piuttosto che ci sarebbero voluti dei soldi per l’avvocato. E che non aveva nessuna voglia di tornare in tribunale.Pensò che avrebbe dovuto abituarsi a declinare il nuovo stato civile. E che il suono del sostantivo “divorziata” non le piaceva affatto. Pensò che non c’era poi tutta questa fretta di regalare altri soldi all'avvocato, anche perché mentalmente lei aveva divorziato prima ancora che scadessero i tre anni.
Pensò che il divorzio altro non era che una formalità di cui non aveva voglia di occuparsi in quel momento..
Pensò tutto questo e lo disse all’uomo che fissava il mozzicone nel piattino.
- Beh, certo, se è solo una formalità…- disse lui senza completare la frase, accendendosi un’altra sigaretta.
Lara pensò che con quegli occhiali l'uomo assomigliava molto a suo padre. E come suo padre stava diventando vecchio. Pensò che avrebbe dovuto provare un po' di tenerezza per quelle righe lasciate dal pettine tra i capelli radi, o per le scarpe tirate a lucido, come al suo solito. Pensò pure che avrebbe dovuto aggiungere qualcosa per mitigare il tono indifferente col quale aveva detto che scrivere la parola fine sul loro matrimonio era solo una formalità. Ma non le venne in mente niente.
Spostò lo sguardo alla finestra, c'era ancora qualche fiocco di neve nell'aria. Pensò che se l'uomo e suo figlio non si fossero sbrigati ad uscire a lei sarebbe toccato protrarre le pulizie nel pomeriggio.
Pensò che era stato bello, quella mattina, sentire la neve un attimo prima che venisse giù.

venerdì 5 giugno 2015

Insert coin if you want to play

-       

-       - Ciccio, sono stufa di essere io. Voglio dissociarmi da me stessa, voglio diventare una donna soddisfatta di quello che ha. Voglio essere stabilmente serena e mediamente appagata nel tempo, basta con ‘ste montagne russe, mezzora in cielo per poi precipitare nell’insoddisfazione grigia e sbruffosa.

-       -  Ma che ti manca?


-       -  Quello che non ho. Se ho il fuoco voglio il ghiaccio. Ho il ghiaccio e sogno caminetto e plaid, mi danno il plaid e voglio un kitesurf. Che poi che cazzo ci faccio io con un kitesurf che a malapena so nuotare…

-      -  Te devi fare come la Tiziana.


-       -  Va in kitesurf avvolta nel plaid?

-      -   Più o meno. Ha due uomini. Con uno ci fa gran discorsi che appagano la sua mente, e tra un discorso e l’altro scopano a livelli accettabili. L’altro è un idiota che parla solo di calcio e di sua madre ma in compenso è un distributore automatico di orgasmi.


-     -    ‘na roba tipo “Insert coin and play again”?

-      -   Tipo.


-        - Ciccio, io monete non ne tengo manco per il distributore del caffè. Pago sempre con la carta di credito.

-
 - Allora sparati.

venerdì 20 dicembre 2013

Alone together

Ti fermi a far due chiacchiere coi colleghi al 
distributore del caffè prima che inizi la ressa, e
 tra una parola e uno sbuffo di fiato condensato per il freddo capisci che quello, anche da lontano, non ha mai smesso di occuparsi di te, c'è chi vigila al posto suo che non ti metta nei guai, col carattere del cazzo che ti ritrovi.

Ammutolisci pensando ancora una volta a quanto sia ingiusto lo spreco di sentimenti non corrisposti.

Ti stringi un po' di più nel cappotto, che ti pare che il freddo sia diventato più freddo, le facce intorno a te più ostili, il senso di vuoto che da qualche giorno ti porti dentro più profondo, e ti chiedi come sarebbe stato se...

mercoledì 18 dicembre 2013

Untitle



La ragazzina armata di spatola e cera mi gira intorno strappando peli e intanto mi parla del sesso col suo ragazzo con una naturalezza inimmaginabile per me alla sua età. 
Mi torna in mente stamattina, il ricordo della sua risata gioiosa stride col mio gesto istintivo di chiudere a chiave la porta del bagno. 
Sono sola in casa, da quale sguardo indiscreto mi devo proteggere?
Vedi madre, molte delle cose che mi hai insegnato le ho infilate negli angoli più nascosti di cassetti e stipetti. Qualcosa della tua rigida educazione però sopravvive, nonostante tutto.

Ho veramente poco da rimproverarti, madre.
Ci sei stata sempre nei bisogni materiali moltiplicando le energie con una forza che io non ho, e provi ad esserci ancora anche se il tuo fisico malato non ti permette più di essere quella di un tempo.
Ma mi hai lasciata sola nel compito più complicato.
Essere donna, prima che moglie e madre e figlia e sorella.

E' stata la bionda, proprio quella che ad una occhiata avevi giudicato come "zoccola", ad insegnarmi che più che le teglie di lasagne al forno e le cotolette cotte con attenzione perchè la panatura risultasse appena dorata come piaceva a lui, aiuta una sfilza di mutande di pizzo e calze autoreggenti stese in bella mostra ad asciugare.
Io le mie mutande di pizzo le appendo allo stendino al riparo da occhi indiscreti, che tra l'essere come la bionda e l'essere come te c'è una ragionevole via di mezzo che percorro tra dubbi e consapevolezze.

Ho un rimpianto stamattina, madre. Non avere avuto una figlia femmina.
Le avrei insegnato anche a cuocere alla perfezione le cotolette dorandole senza farle bruciacchiare. Ma soprattutto l'avrei aiutata e incoraggiata e sostenuta nel suo percorso di donna.
Non l'avrei soffocata con i no e i non si fa e i non si dice.
Li rispedisco al mittente i tuoi no, madre.
Mi tengo l'amore incondizionato che ho per te, che tu hai per me.
Con la consapevolezza che tu, meglio di così, non avresti potuto, saputo fare.

lunedì 16 dicembre 2013

Il profumo delle arance di Carlo è rimasto attaccato alle mie mani, resistendo all'odore chimico del detersivo dei piatti e della cera dell'estetista.
Ne ho sbucciate e mangiate due, appena arrivata a casa, giusto il tempo di riprendere fiato dopo aver fatto due piani a piedi con la cassetta piena zeppa che mi segava le dita, e la loro essenza mi si è incollata addosso.

Hanno un buon sapore, le arance di Carlo.
Buono come il suo sguardo limpido e sincero e come l'aria che si respira a casa sua.
Una casa tranquilla, pulita, ordinata, nelle campagne di Gabella, dove ogni cosa occupa un posto preciso, e le persone conoscono esattamente qual'è il loro ruolo e lo portano avanti senza dubbi o esitazioni.
Le due ragazze sedute composte intrattengono l'ospite conversando come signorine di altri tempi. 
La moglie si vede dal piglio che ha che è quella che dirige la baracca, ma restando sempre un passo dietro al marito, cui tocca il ruolo indiscusso di capo della casa.
E lui, il capo, travolto dalle chiacchiere di quattro donne, ogni tanto annuisce quando qualcuna lo chiama in causa, altrimenti ascolta silenzioso. 
Ma lo senti, lo capisci, che è il centro della casa, il perno attorno al quale ruota tutto.

E' una casa di altri tempi, la casa di Carlo, circondata dagli alberi di arancio. 
Qui tutto è esattamente dove deve essere, al suo posto. 
E per il tempo di un caffè mi ci sono sentita pure io, al mio posto, ho avuto anch'io un ruolo da portare avanti senza dubbi o esitazioni, eco di un passato lontano che non rimpiango ma che pure mi ha lasciato monca di qualcosa. 
Per il tempo di un caffè mi si è scrollato di dosso questo senso di incertezza del vivere entro confini tracciati nella sabbia che continuano a spostarsi ad ogni soffio di vento, ritrovando l'abbraccio rassicurante delle certezze di un perimetro ben tracciato.

venerdì 6 dicembre 2013

L'uomo ideale



Lei non ce l’aveva, un uomo ideale.
Ma se l’avesse avuto, avrebbe dovuto essere alto, più alto di lei.
E imponente, che si capisse subito, alla prima occhiata, a chi apparteneva il ruolo dell’uomo tra i due.
Avrebbe dovuto vestire di quel casual raffinato non troppo modaiolo, fintamente trasandato ma comunque elegante: jeans di buon taglio, camicia, pullover in tinta unita, giacca, e perché no, anche una di quelle sciarpe morbide morbide che se le annodi nel modo giusto danno quel tocco in più.
Barba e capelli lunghi ci potevano stare, purchè curati.
E poi modi pacati, voce profonda, eloquio tranquillo e garbato che sale di tono quando la discussione appassiona.
Che altro?

Guardò l’uomo intento ad infilarsi i calzini cercando ispirazione.
Alto non era, coi tacchi  lo superava.
Imponente nemmeno, anche se non si poteva definire gracile.
Casual assolutamente si: non le veniva in mente niente di più casuale del criterio con cui stava infilandosi indumenti su indumenti.
Camicie manco a parlarne. Giacca, non pervenuta.
Barba e capelli quelli c'erano, era la cura che mancava.
Sull’eloquio tranquillo e garbato meglio stendere un velo pietoso.

Eureka! Il culo.
Il suo uomo ideale avrebbe dovuto avere un bel culo.
E lui, il casual, ce l’aveva. Due chiappe belle tonde e polpose da fare invidia ad una donna.
Peccato che le nascondeva in quei cazzo di jeans sformati, manco a potersene far vanto, manco a poter dire alle amiche “Toh, bestie, guardate che bel culo mi porto a spasso, rosicate voi coi vostri piattumi!”

- Andiamo?
Il casual era pronto, era ora di andare.
Trattenne l’impulso di chiedergli ago e filo per sistemargli il buco che aveva nel maglione.
Lei non ce l’aveva, un uomo ideale, ma era sicura che se l’avesse avuto non poteva essere uno che usciva con un buco nel maglione.
Si interrogò una volta di più su quali fossero i meccanismi che regolano l’attrazione tra un uomo e una donna.
Smise di cercare risposte quando lui la bloccò sulla porta e ricominciarono a baciarsi.

Tornando in camera, dell’uomo ideale rimasero solo le chiappe tonde e sode.

venerdì 1 giugno 2012

20 consigli per guarire un cuore infranto

Il banner campeggiava sulla home page di Msn, ieri.

Ho cliccato ed ho iniziato a leggere.

Il primo consiglio era “ Concedersi un bagno da regina”.

Non sono andata oltre. 

Ho smarrito il tappo della vasca da bagno non so più quanto tempo fa.

Mi tengo il cuore infranto.

Anche perché l’idea di mettermi a mollo come un baccalà con una corona di cartapesta in testa non è che mi scompinferi più di tanto.

L’insostenibile pesantezza dell’essere



L’insostenibile pesantezza dell’essere.
Dell’essere convinti, intendo.
Belli.
Intelligenti.
Spiritosi.
Interessanti.
Bla.
Bla.
Bla.
Uff.

mercoledì 18 maggio 2011

Era de maggio



Maggio, il primo caldo e il profumo esasperante dei tigli in fiore che acuiscono il senso dell'assenza, la mancanza.

Maggio e il punto e accapo che con te non è mai stacco definitivo, ma un lento trascinarsi e trasformarsi e altalenarsi di sensazioni, sentimenti, pensieri, rivisitazioni, conclusioni.

Maggio e l'inizio della fine che continua a riproporsi come un leit motiv che accompagna la tua vita: cambiano personaggi e situazioni, ma la trama della storia resta sempre quella.

Maggio e l'estate che quest'anno non esplode, e continua ad alternare giornate calde ad altre fredde e piovose, nelle quali il profumo dei tigli in fiore si disperde, rendendo meno pungente e doloroso il senso dell'assenza.

O forse è solo che ha ragione Lella, non si ama mai nello stesso modo e con la stessa intensità, e se sei già stata all'inferno una volta non ti può capitare di tornarci ancora.

Così che questo Maggio ha i colori tenui del Purgatorio, la certezza di una pena indefinita ma non infinita.


martedì 17 maggio 2011

Brava Giulia




- E il tuo sogno nel cassetto, ce l’hai ancora?

Si versò dell’altro vino sotto lo sguardo sorridente dell’uomo, frugando velocemente nella sua memoria per capire a cosa si riferisse.

La lista dei progetti e delle “cose che prima o poi farò” era lunga, ma niente era così importante da potersi definire un sogno nel cassetto.



- Il tuo sogno nel cassetto – la incoraggiò lui – avere un compagno, ci pensi ancora?



L’uomo sembrava così sicuro di quel che diceva che per un attimo dubitò di se stessa.

Eppure era convinta che mai, nei suoi discorsi, aveva menzionato il desiderio di avere qualcuno accanto se non, forse, in uno di quei momenti di solitudine e stanchezza che ogni tanto le capitavano.



Sfoderò un sorriso il più possibile convincente mentre rispondeva che no, avere un compagno non rientrava nelle sue aspettative e che si, lei stava bene con se stessa.



Lui la interruppe elencandole quelle che credeva fossero le sue ferite non ancora del tutto rimarginate, le paure che avrebbe dovuto decidersi a superare definitivamente, che le impedivano di essere veramente se stessa.



Provò a riappriopriarsi della conversazione parlandogli di equilibri raggiunti a fatica che non aveva intenzione di compromettere se non ne fosse davvero valsa la pena.

Ma venne interrotta di nuovo.



- L’equilibrio non lo comprometti, se hai di questi timori vuol dire che il tuo non lo hai ancora trovato.

Giocò infine la carta dell’amore


– Potrei anche pensarci se mi dovesse capitare di innamorarmi ancora.



La guardò come si guarda una bimba che ha appena affermato di credere agli gnomi, alle fate e ai boschi incantati. E le disse che no, l’amore non esiste, esistono solo individui con i loro bisogni che provano a costruire un percorso insieme.



In un altro momento forse si sarebbe appassionata al discorso e avrebbe ribattuto trasformando quel semi-monologo in un dialogo, contrapponendo le sue incertezze alle certezze dell’uomo. Quella sera però le mancava la voglia, e la testa le girava per il vino.



Così lo lasciò parlare limitandosi ad annuire, anche quando lui volle dire la sua sul rapporto con suo figlio, anche quando criticò benevolmente i suoi gusti musicali, che non si addicevano ad una donna come lei.

Finchè fu l'ora dei saluti.



A casa ripensò alle parole dell’uomo, per quanto le seccasse che un estraneo avesse scavato così a fondo nel suo essere analizzando le poche parole che si erano scambiati, forse ci aveva visto giusto. Non aveva ancora raggiunto il suo equilibrio definitivo.

Lo avrebbe trovato, da sola.



Assaggiando, testando, seguendo l’inclinazione del momento, sbattendo la testa contro un muro, cadendo e sbucciandosi le ginocchia per poi rialzarsi e continuare a camminare fino alla prossima caduta. A ritmo di rock, avvolgendosi in un blues, perdendosi in una ballata romantica.

O canticchiando una canzone di Vasco, anche se i suoi testi non erano abbastanza profondi per lei, anche se quel tipo di musica non si addiceva ad una donna come lei.



Non aveva fretta.

Ma soprattutto, non aveva bisogno di un mentore che le indicasse la strada da seguire.

martedì 31 agosto 2010

Paolo Nutini Autumn

Mancano ancora un po' di giorni all'arrivo dell'autunno.
Ma c'era una luce diversa stasera, col sole che ha squarciato d'improvviso le nuvole un'ora prima del tramonto, come un uomo che ha dormito un lungo sonno dopo aver lavorato instancabile giorni e giorni, e svegliatosi riposato e rinfrancato, sbadiglia e si stiracchia prima di addormentarsi di nuovo.
Anche l'aria è più fresca, e accarezza lieve la pelle mentre
il filo sottile del fumo della sigaretta si attorciglia al filo di malinconia che mi accompagna in quest'ultima notte di agosto.
Il mio nuovo giubbino di (finta) pelle fa bella mostra di se sulla gruccia, e aspetta che l'estate finisca davvero per essere indossato.