venerdì 20 dicembre 2013

Alone together

Ti fermi a far due chiacchiere coi colleghi al 
distributore del caffè prima che inizi la ressa, e
 tra una parola e uno sbuffo di fiato condensato per il freddo capisci che quello, anche da lontano, non ha mai smesso di occuparsi di te, c'è chi vigila al posto suo che non ti metta nei guai, col carattere del cazzo che ti ritrovi.

Ammutolisci pensando ancora una volta a quanto sia ingiusto lo spreco di sentimenti non corrisposti.

Ti stringi un po' di più nel cappotto, che ti pare che il freddo sia diventato più freddo, le facce intorno a te più ostili, il senso di vuoto che da qualche giorno ti porti dentro più profondo, e ti chiedi come sarebbe stato se...

mercoledì 18 dicembre 2013

Untitle



La ragazzina armata di spatola e cera mi gira intorno strappando peli e intanto mi parla del sesso col suo ragazzo con una naturalezza inimmaginabile per me alla sua età. 
Mi torna in mente stamattina, il ricordo della sua risata gioiosa stride col mio gesto istintivo di chiudere a chiave la porta del bagno. 
Sono sola in casa, da quale sguardo indiscreto mi devo proteggere?
Vedi madre, molte delle cose che mi hai insegnato le ho infilate negli angoli più nascosti di cassetti e stipetti. Qualcosa della tua rigida educazione però sopravvive, nonostante tutto.

Ho veramente poco da rimproverarti, madre.
Ci sei stata sempre nei bisogni materiali moltiplicando le energie con una forza che io non ho, e provi ad esserci ancora anche se il tuo fisico malato non ti permette più di essere quella di un tempo.
Ma mi hai lasciata sola nel compito più complicato.
Essere donna, prima che moglie e madre e figlia e sorella.

E' stata la bionda, proprio quella che ad una occhiata avevi giudicato come "zoccola", ad insegnarmi che più che le teglie di lasagne al forno e le cotolette cotte con attenzione perchè la panatura risultasse appena dorata come piaceva a lui, aiuta una sfilza di mutande di pizzo e calze autoreggenti stese in bella mostra ad asciugare.
Io le mie mutande di pizzo le appendo allo stendino al riparo da occhi indiscreti, che tra l'essere come la bionda e l'essere come te c'è una ragionevole via di mezzo che percorro tra dubbi e consapevolezze.

Ho un rimpianto stamattina, madre. Non avere avuto una figlia femmina.
Le avrei insegnato anche a cuocere alla perfezione le cotolette dorandole senza farle bruciacchiare. Ma soprattutto l'avrei aiutata e incoraggiata e sostenuta nel suo percorso di donna.
Non l'avrei soffocata con i no e i non si fa e i non si dice.
Li rispedisco al mittente i tuoi no, madre.
Mi tengo l'amore incondizionato che ho per te, che tu hai per me.
Con la consapevolezza che tu, meglio di così, non avresti potuto, saputo fare.

lunedì 16 dicembre 2013

Il profumo delle arance di Carlo è rimasto attaccato alle mie mani, resistendo all'odore chimico del detersivo dei piatti e della cera dell'estetista.
Ne ho sbucciate e mangiate due, appena arrivata a casa, giusto il tempo di riprendere fiato dopo aver fatto due piani a piedi con la cassetta piena zeppa che mi segava le dita, e la loro essenza mi si è incollata addosso.

Hanno un buon sapore, le arance di Carlo.
Buono come il suo sguardo limpido e sincero e come l'aria che si respira a casa sua.
Una casa tranquilla, pulita, ordinata, nelle campagne di Gabella, dove ogni cosa occupa un posto preciso, e le persone conoscono esattamente qual'è il loro ruolo e lo portano avanti senza dubbi o esitazioni.
Le due ragazze sedute composte intrattengono l'ospite conversando come signorine di altri tempi. 
La moglie si vede dal piglio che ha che è quella che dirige la baracca, ma restando sempre un passo dietro al marito, cui tocca il ruolo indiscusso di capo della casa.
E lui, il capo, travolto dalle chiacchiere di quattro donne, ogni tanto annuisce quando qualcuna lo chiama in causa, altrimenti ascolta silenzioso. 
Ma lo senti, lo capisci, che è il centro della casa, il perno attorno al quale ruota tutto.

E' una casa di altri tempi, la casa di Carlo, circondata dagli alberi di arancio. 
Qui tutto è esattamente dove deve essere, al suo posto. 
E per il tempo di un caffè mi ci sono sentita pure io, al mio posto, ho avuto anch'io un ruolo da portare avanti senza dubbi o esitazioni, eco di un passato lontano che non rimpiango ma che pure mi ha lasciato monca di qualcosa. 
Per il tempo di un caffè mi si è scrollato di dosso questo senso di incertezza del vivere entro confini tracciati nella sabbia che continuano a spostarsi ad ogni soffio di vento, ritrovando l'abbraccio rassicurante delle certezze di un perimetro ben tracciato.

venerdì 6 dicembre 2013

L'uomo ideale



Lei non ce l’aveva, un uomo ideale.
Ma se l’avesse avuto, avrebbe dovuto essere alto, più alto di lei.
E imponente, che si capisse subito, alla prima occhiata, a chi apparteneva il ruolo dell’uomo tra i due.
Avrebbe dovuto vestire di quel casual raffinato non troppo modaiolo, fintamente trasandato ma comunque elegante: jeans di buon taglio, camicia, pullover in tinta unita, giacca, e perché no, anche una di quelle sciarpe morbide morbide che se le annodi nel modo giusto danno quel tocco in più.
Barba e capelli lunghi ci potevano stare, purchè curati.
E poi modi pacati, voce profonda, eloquio tranquillo e garbato che sale di tono quando la discussione appassiona.
Che altro?

Guardò l’uomo intento ad infilarsi i calzini cercando ispirazione.
Alto non era, coi tacchi  lo superava.
Imponente nemmeno, anche se non si poteva definire gracile.
Casual assolutamente si: non le veniva in mente niente di più casuale del criterio con cui stava infilandosi indumenti su indumenti.
Camicie manco a parlarne. Giacca, non pervenuta.
Barba e capelli quelli c'erano, era la cura che mancava.
Sull’eloquio tranquillo e garbato meglio stendere un velo pietoso.

Eureka! Il culo.
Il suo uomo ideale avrebbe dovuto avere un bel culo.
E lui, il casual, ce l’aveva. Due chiappe belle tonde e polpose da fare invidia ad una donna.
Peccato che le nascondeva in quei cazzo di jeans sformati, manco a potersene far vanto, manco a poter dire alle amiche “Toh, bestie, guardate che bel culo mi porto a spasso, rosicate voi coi vostri piattumi!”

- Andiamo?
Il casual era pronto, era ora di andare.
Trattenne l’impulso di chiedergli ago e filo per sistemargli il buco che aveva nel maglione.
Lei non ce l’aveva, un uomo ideale, ma era sicura che se l’avesse avuto non poteva essere uno che usciva con un buco nel maglione.
Si interrogò una volta di più su quali fossero i meccanismi che regolano l’attrazione tra un uomo e una donna.
Smise di cercare risposte quando lui la bloccò sulla porta e ricominciarono a baciarsi.

Tornando in camera, dell’uomo ideale rimasero solo le chiappe tonde e sode.