venerdì 4 giugno 2010

Yucatan



"La cosa ridicola è che ogni volta che dopo appostamenti e attese e tentativi a vuoto e approcci ripetuti riesco ad arrivare a contatto con una storia che mi affascinava, mi riempio di questa delusione istantanea. Non ho ancora un’idea precisa di cosa sia davvero da vicino, e già mi sembra dieci volte più semplice e piatta di come avevo creduto di vederla, senza traccia delle ombre e i risvolti e gli spessori nascosti che mi ero immaginato a distanza. Vado avanti per mesi e anni a cercare di convincere tutti della sua straordinarietà, a sottolineare e semplificare e amplificare sensazioni finchè qualcuno ci crede e va a prendermela e me la porta davanti e si mette di lato in attesa che io ne faccia un uso almeno adeguato al suo investimento di energie per procurarmela, e invece di essere contento sto fermo a guardarla pieno di imbarazzo ed estraneità. Mi sento come uno che affitta per corrispondenza una casa in base alla più vaga delle descrizioni, e senza averci ancora messo piede progetta incontri e cene e feste e situazioni di ogni genere nelle sue stanze, e man mano che aggiunge dettagli alle sue immagini mentali riduce le probabilità che possano mai corrispondere a quel contenitore. E naturalmente è troppo tardi per cancellare il contratto e andarsene via…” Yucatan – Andrea De Carlo

Continuo a comprare e leggere i libri di De Carlo ogni volta che me ne capitano di nuovi tra le mani, anche se nessuno è bello quanto il primo che ho letto.
E’ una specie di tributo all’amore ormai passato, l’ultimo rituale che continua a sopravvivere, quando tutte le altre abitudini sono ormai andate, sostituite da altri rituali, altri libri, altre canzoni, altri pensieri.
Continuo a comprare De Carlo e mi ostino a leggerlo anche quando le sue storie mi annoiano.

Lo leggo distrattamente, spesso velocemente, per arrivare in fretta all’ultima pagina, per poter concludere il rituale, chiudere il libro, e riporlo in libreria, insieme agli altri. E succede quasi sempre cosi, ad un certo punto il ritmo della lettura rallenta, le parole si staccano dalla pagina e iniziano a danzarmi davanti agli occhi, acquistando un significato avulso dalla storia per le quali erano state scritte. E diventano parole mie, che traducono pensieri e sensazioni e situazioni mie.
E’ successo anche stavolta, di ritrovarmi nella pagina di un libro, ben descritta con i miei entusiasmi iniziali, con la curiosità di una bambina a cui occhi anche il giocattolo più semplice appare straordinario, finchè non ce l’ha tra le mani, finchè non capisce il meccanismo che lo fa funzionare.
Finchè non arriva, puntuale, il senso di estraneità.

- La questione non è attirare la tua attenzione, ma mantenerla. – mi disse un tizio di passaggio un po’ di tempo fa.
Era con tutta probabilità una frase ad effetto del suo repertorio. Il fatto che ci avesse azzeccato, pura coincidenza.





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