lunedì 28 giugno 2010

Ci penso da sola


Sarò sincera: Berlusconi mi è rimasto sul gozzo fin dal discorso della sua discesa in campo , e l’antipatia è andata aumentando negli anni trasformandosi nell’insofferenza attuale.

Non ho mai creduto ai suoi proclami anche per partito preso.
Per cui ci sta pure, che io arricci il naso per antipatia congenita verso il premier e i suoi uomini ogni volta che il governo del fare annuncia l’ennesima vittoria.

Però sono una donnina ragionevole, pronta a ricredersi e ad ammettere la sua malafede, se me ne danno motivo.

Facciamo così.
Giovanardi mi spieghi come ha fatto a contarli ad uno ad uno, ed io gli crederò sulla parola.

Mi spieghi come fa a sapere che i consumatori di sostanze stupefacenti sono passati dai 3.934.450 del 2008, ai 2.924.500 del 2009, e mi metterò in ginocchio sui ceci tre ore cantando ininterrottamente “Meno male che Silvio c’è”   per pagare pegno per aver dubitato.

Mi basta questo.
Al resto ci penso da sola.
A rileggere i dati nel modo corretto, ci penso da sola.
A non abbassare la guardia, certa che il problema delle tossicodipedenze è ben lontano dall'essere risolto, ci penso da sola
A schifarmi per l’ennesima parassita propaganda governativa, ci penso da sola.

giovedì 24 giugno 2010

Hai perso un’altra occasione buona, stasera…(per tacere)


No, davvero bimbi, ve lo dico col cuore.
Quando proprio non vi viene in mente nulla di intelligente da dire, tacete.
Specie se in testa vi vengono solo domande idiote, state zitti.
Magari riuscite pure a spacciarvi per tenebrosi dall’animo tormentato.
Ma soprattutto, eviterete di fare la figura dei coglioni.
Perché davvero non ce la fate una gran figura, quando dopo aver fatto all’amore ci chiedete come è andata.
Cosa vi aspettate che rispondiamo?

La tenuta di strada è nella media, la retromarcia forse andrebbe migliorata, nel complesso il rapporto qualità-prezzo è soddisfacente?

O anche, Mirko coi preliminari è decisamente meglio, ma tu sei una spanna sopra a Matteo, Luca e ora che ci penso pure a Giovanni?

Dai, su, siamo seri.
In fondo basta poco. Basta metterci un po’ di attenzione in quello che fate.
Fabry per esempio, dopo anni e anni di scrupolosa e scientifica osservazione del fenomeno, capisce quando una donna è in dirittura d’arrivo guardandole i piedi; quando li inarca è fatta!
Ci ha anche provato a spiegarmi il movimento esatto.
Solo che a me veniva da ridere, immaginandolo in certi frangenti a tenere costantemente d’occhio le estremità inferiori della tipa di turno.
Un po’ come quando sei davanti al semaforo con l’occhio incollato al verde, giocando di frizione e acceleratore intanto che aspetti il segnale di via libera per partire a tutto gas!

No, davvero bimbi, ve lo dico col cuore.
Quando proprio non vi viene in mente nulla di intelligente da dire, tacete.
Specie se in testa vi vengono solo domande idiote, state zitti.
Mica per niente, è che poi ci mettete in difficoltà.

Perché se una donna, dopo essere venuta a cena con voi, declina l’invito a proseguire la serata anche solo per un gelato adducendo una botta di sonno improvvisa, e non si mostra particolarmente entusiasta quando le proponete di telefonarle l’indomani, si aspetta che ci arriviate da soli a trarre le dovute conclusioni.
Di sicuro non si aspetta che la chiamiate per chiederle come è andato l'appuntamento.
Cosa volete che vi risponda, la poverina?
Che a un certo punto della serata si è accorta che di profilo assomigliate a un ranocchio ma non è abbastanza temeraria da baciarvi per vedere se vi trasformate in un principe?
Che se continuava a rifilare una battuta via l’altra non era perché si sentiva particolarmente a suo agio, quanto perché meglio ridere delle proprie stronzate piuttosto che fingere di trovare divertenti quelle altrui?
Macchè! Non si può essere così crudeli. Non subito, almeno.

No, davvero bimbi, ve lo dico col cuore.
Quando proprio non vi viene in mente nulla di intelligente da dire, tacete.
Specie se in testa vi vengono solo domande idiote, state zitti.
Mica per niente, è che almeno ci lasciate qualche dubbio, piuttosto che un’unica, desolante certezza.

sabato 19 giugno 2010

Bistecca, aragosta, una torta di mele, un gelato alla vaniglia e una Seven-Up



Leggo che negli Stati Uniti è stata eseguita la milleduecentosedicesima condanna a morte da quando è tornata in vigore la pena capitale, e che l'asettica inezione letale è stata sostituita dal più cruento plotone di esecuzione, e non capisco.

Non capisco, cioè, se a fare notizia sia l’esecuzione in sè, o piuttosto il modo in cui è stata messa in atto.
Punto sulla seconda chance, vista l’abbondanza di ragguagli forniti dai vari articoli.

Ora ne so molto di più sulla fucilazione.
So, per esempio, che il plotone era composto da cinque bravi anonimi e volonterosi cittadini. Che in caso di ripensamenti e pentimenti futuri, potranno sempre addormentare la coscienza pensando che l’unico fucile caricato a salve era il loro.

Poi so pure che le cartucce usate erano di quelle grosse, di quelle che servono per cacciare le bestie grosse, tipo orsi, o alci, o cervi.
O assassini condannati a morte, per l’appunto.

E ancora so che i bravi anonimi e volenterosi cittadini hanno mirato e sparato contro il bersaglio debitamente contrassegnato sul torace dell’uomo.
Nel senso che prima di sparargli gli hanno fatto un bel tatuaggio sul petto.
Un po’ come quando nei film americani vedi quei tizi costretti a scavarsi la fossa da soli.

Last, but not the least, la cena. L’ultima, of course.
So cosa ha mangiato il detenuto prima di morire. Bistecca, aragosta, una torta di mele, un gelato alla vaniglia e una Seven-Up.
Speriamo non gli sia scappato un rutto al momento supremo della dipartita.
Non sarebbe fine, suvvia…

Per fortuna in Italia la pena di morte non esiste. Non come in America, almeno.
Loro hanno tutto un rigido protocollo, che osservano punto per punto.
Fanno le cose per bene, gli americani
Noi invece ai protocolli siamo refrattari, che ci volete fare, siamo un popolo di arruffoni confusionari. Poi abbiamo la crisi, i soldi non bastano per pagare l'aragosta, i tatuaggi, i pallettoni grossi.
Allora ci arrangiamo, improvvisiamo, ce la sbrighiamo alla comevieneviene.
E consci dei nostri limiti, non osiamo chiamarla condanna a morte.
No.
La chiamiamo “morte per cause naturali”. In gergo, “pestaggio selvaggio”
Ovviamente tutto fatto con discrezione, che mica vogliamo turbare le coscienze dei bravi cittadini.
Per dire,  di questa esecuzione avvenuta nel luglio 2003, voi avevate mai sentito parlare?
Io no. Ci ho sbattuto il naso ieri sera.
E guardando  queste foto, ho provato profonda vergogna, per aver vissuto sette anni nell’ignoranza.

venerdì 18 giugno 2010

Strategie


Prendi me, per esempio, quand’ero una ragazza pudica che per non dire cazzo diceva in quanto donna quello non ce l'ho.
E ci credevo, a quella storia che non c’è sesso senza amore.
E intanto che mi riempivo la testa di aulici pensieri, mi inebriavo ascoltando quella roba lì.
Cose tipo noiduenelmondoenellanima, sudinoinemmenounanuvola, iolavoroepensoate, trottolinoamorosoedududadada… abbiamo inquadrato il tipo, si?


Poi, perché c’è sempre un poi in agguato, le cose cambiano. 
Chiamala esperienza, maturità, vecchiaia, chiamala tegolate che ti arrivano in serie tra noce e capo di collo,  insomma cominci a vedere le cose in modo diverso. 
A sentirle in modo diverso. A chiamarle in modo diverso.
E intanto che cambi tu, il tuo modo di sentire, parlare, pensare, cambiano pure i tuoi gusti musicali.


E allora, direte voi, che c’è di male?
Nulla. 
Se non fosse che io ho un viziaccio. La musica mi piace ascoltarla al massimo del volume.
E intanto che ascolto canto. Al massimo del volume. 
Che io cerco pure di darmi un freno, un limite, conscia di non possedere grandi doti canore. 
Ma non ce la faccio. È più forte di me. Appena parte il pezzo, parto pure io. È quasi immediato. E non importa se sono a casa, in macchina, in ufficio. Io canto.


E allora, direte voi, che c’è di male?
Nulla. Se non fosse che abito in un piccolo paesino del sud dove ci si conosce tutti. 
E dove la donna, almeno apparentemente, è santa, e certe cose non le dice, non le fa, figuriamoci poi cantarle.
E invece io le canto. 
Intanto che passo lo straccio, con le finestre aperte, io canto. 
Il vero che muore succhiandomi quello che in quanto donna non ce l’ho. A tutto volume. Scopami tra fiori urlanti. Più e più volte al giorno. 
Tanto che la mia vicina, quella santa donna che pure lei se la fa cantando tutto il giorno le tagliatelle di nonna Pina, qualche giorno fa non ha resistito ed è venuta a bussare alla mia porta.


- Scusa se ti disturbo, sai, ma è da un po’ di giorni che ti sento mandare una canzone, volevo sapere di chi è, è parecchio ritmata, mi piace, la voglio ascoltare.


Per un attimo presa dall’entusiasmo di poter condividere la mia musica con qualcuno ho pensato di prestarle il cd. 
Poi mi è scattato il parallelo: la mia timida vicina e gli Afterhours, le tagliatelle di nonna pina e le strategie dell’apnea… 
Da domani, lo giuro,  pulizie a porte chiuse. E se proprio fa troppo caldo, un bel cd di Biagio Antonacci nello stereo e non se ne parla più

giovedì 17 giugno 2010

Le regole dell'attrazione


È che mi piacerebbe capire come funziona la storia.


Se è veramente questione di chimica, di ferormoni, di quadrature astrali, di destino, o se non sia piuttosto una questione di ricettività.

Tipo che ci sono di quei giorni che te ne vai sorridendo incontro al mondo, e gli sorridi anche se il mondo ha questo buffo aspetto di panino del macdonald in cui affondi i denti, una volta, due, tre, con l’appetito e la voracità da ultimo giorno di gozzoviglie prima della carestia, incurante della salsa che ti cola impiastricciandoti bocca e mani, ignorando il pensiero che se non la pianti di ingozzarti così poi ti verrà il mal di stomaco.

Tipo che ce ne sono altri, invece, di totale inappetenza, in cui tu siedi compunta a tavola, inappuntabile col tuo bel tovagliolino sulle ginocchia, mentre pietanze raffinate ti sfilano sotto il naso, e tu ne ammiri l’elegante disposizione nel piatto, ne aspiri il profumo delicato, individui i singoli ingredienti intanto che spilucchi senza vera voglia, e con la mente sei già altrove.

martedì 15 giugno 2010

Mostro


Basta parlare, sorellina, dobbiamo muoverci.
La notte non dura che poche ore, abbiamo molto lavoro da fare prima che arrivi l'alba.
No, non serve rimandare, fattene una ragione.
Sei stata una pazza, una stupida pazza avventata.
Non dovevi cedere, non dovevi dare ascolto al tuo cuore.
Lui non sa come è li fuori, ma tu si. Tu lo sapevi che non tira aria buona per quelli come lui.
Succede solo nei film di Disney che mostri diventino i migliori amici dei bambini.
Nella realtà i mostri fanno paura.
Sono scomodi.
Tu lo sapevi, che era meglio per lui restare nel buio e nel silenzio, ignorato da tutti, al sicuro, protetto.
Non tentare di giustificarti, non serve.
Non scuotere la testa, non allargare le braccia in segno di impotenza, potevi scegliere, ignorare la sua preghiera.
Potevi far rumore, tanto rumore, per non sentire i suoi colpi.
Potevi alzare al massimo il volume dello stereo, e passare e ripassare quella cazzo di aspirapolvere, che di polvere da tirar via ce n'è sempre.
Potevi fare andare la centrifuga al massimo dei giri, più e più volte, fino a strizzare anche l'ultima goccia d'acqua dalle tue lenzuola.
Ed ora è inutile recriminare, sorellina, è inutile piangere sul latte versato, è solo colpa tua.
Guardalo, il tuo mostriciattolo, come l'hanno ridotto.
Hanno rinnegato la sua natura di essere eccezionale e ne hanno fatto una cosa ridicola.
Guarda come è goffa la sua andatura, ora che i suoi piedi sono costretti in quelle ridicole scarpe stringate che non è nemmeno capace di allacciare da sè.
E quei vestiti, guarda come gli stringe il collo la camicia, sembra gli manchi l'aria.
E guarda le sue spalle, sempre più curve, sotto il peso delle tante parole vuote e inutili, ne sono state sprecate tante, e tante ancora se ne sprecheranno se non ti decidi a far qualcosa.
No, non serve a niente protestare, no, non te lo daranno indietro il tuo mostro.
Perchè il mostro, per loro, non esiste. Ti diranno che è solo frutto della tua fantasia.
Non capisci, sorellina? Non importa, sbrigati con quell'ago, manca poco all'alba, presto, metti ancora un po' ovatta qui, ecco, ora gli occhi, e quella bocca, perdio, un po' più sorridente, deve avere l'aria serena e rassicurante...ecco, ora va bene, il sostituto è pronto, corri, adesso, manca davvero poco all'alba.
Non preoccuparti, nessuno si accorgerà della differenza, nessuno vorrà accorgersene.
Leva questi stracci al tuo mostriciattolo e riportalo in cantina.
E poi vai a riposare un po', è stata una notte lunga.
Domani potrai fingere di nuovo, era solo un gioco, è solo un gioco, non è niente di importante.
Loro avranno di nuovo un pupazzo con cui giocare, i pupazzi non fanno paura.
E adesso dormi, sorellina.
Dormi.

Dimmidammichetidò




Ma voi, a sesso virtuale, come state messi?
Vengo (si fa per dire) e mi spiego.
Se vi intrippate per qualcuno che non è a portata di mani, bocca, annessi e connessi, e il discorso scivola sul cosa ti farei se tu fossi qui (a portata di mani, bocca, annessi e connessi, of course), voi che fate?
Partecipate?
E fino a che punto?
E fino a che punto la cosa vi da soddisfazione?

No, perché io, dopo una lievissima puncicatura dovuta all’intrippamento e all’incipit iniziale poi mi perdo.
Mi perdo il trip e mi perdo le parole.
Semmai la butto sul ridere.
Comunque non partecipo.
E dopo un po’ di “ti bacio qui, ti accarezzo li” comincio a pensare ai fatti miei.

Forse perché il sesso fai da te (che alla fine dei conti di questo si tratta) resta a mio avviso una pratica assolutamente privata e solitaria, un po’ come andare in bagno e chiudersi a chiave anche se sei da sola in casa.
Forse perché mi da troppo l’impressione di un cliché visto e rivisto, trito e ritrito, in cui mi rifiuto di rientrare.
Forse perché l’erotismo è qualcosa che ti deve coinvolgere mentalmente ad un punto tale che non tutti sono capaci di farti raggiungere.
Forse perché mi distraggo facilmente e mi perdo la puncicatura.
Forse perché dopo anni di frequentazioni virtuali e simil-platoniche, ora mi sono rotta.
E quindi niente, ciccio. Vuoi godere? Prendi quella cazzo di macchina e portalo qui! In carne (possibilmente) e ossa (quelle se vuoi puoi lasciarle a casa)
Oppure vai a farti un giro su youporne, che io ho la lavatrice da stendere.
Oh!

lunedì 14 giugno 2010

Voglio l'erba voglio


È che poi, ripensando a certe conversazioni hot con la mia amica Puccy, un po’ mi scoccerebbe sapere di essere stata intercettata.
No, perché è la distanza che ci frega, a me e alla Puccy. Che se abitassimo vicine vicine certe confidenze ce le faremmo sedute sul divano di casa, tra un caffè e una sigaretta. Invece no, stiamo a mille chilometri di distanza, e allora ci tocca parlare al telefono, e ci sono di quelle volte li che… vabbè, soprassediamo.

E quindi lo posso capire, che a quelli gli roda un pochetto che i loro affarucci privati siano stati messi in piazza.
Il punto è, però, che a noi, che già abbiamo i cacchi nostri cui pensare, poco ce ne impipa delle loro puttanate. Si, vabbè, abbiamo fatto tutti dell’ironia sul coso di Berlusconi che sta su a furia di siringhe, o sullo strano modo di curare l’artrosi di Bertolaso. Ma è perché siamo brava gente, preferiamo buttarla sul ridere piuttosto che impugnare un bastone, una mazza di scopa, il tubo dell’aspirapolvere, per andare a suonargliele di santa ragione, a questi stronzi che vendono la nostra pelle per un culo sodo.
E allora niente, se proprio vogliono tutelare la privacy, lo facciano pure un decreto che impedisca di divulgare notizie su chi scopa chi e/o cosa. Ma poi la piantino li. Perché tutto il resto io lo voglio sapere.

Voglio sapere cosa e chi c’è dietro le stragi di Capaci e Via d’Amelio, anche se già una “vaga” idea ce la siamo fatta. Così come voglio sapere se il tizio che mi rappresenta è colluso con la mafia.
Voglio sapere se un bastardo violenta un ragazzino, e lo voglio sapere pure se porta la tonaca.
Li voglio guardare, i coglioni col distintivo che prendono a botte un ragazzo solo perché si trova al momento sbagliato, nel posto sbagliato, col giubbetto del colore sbagliato.
E  voglio guardare ancora  le foto del corpo martoriato di Stefano Cucchi e sentire la rabbia che mi sale dentro al pensiero di come si può morire di botte e di indifferenza nelle strutture dello Stato.
Voglio sapere che cosa gira dietro al nucleare, al ponte sullo stretto, alle forniture agli ospedali.
Voglio che sia documentato e diffuso ogni genere di illecito che danneggi, anche in minima parte, la comunità. E pazienza se rischierò di andare in overdose da informazioni, se la testa mi scoppierà e la mascella mi si serrerà. E’ un problema mio, troverò modo e maniera di filtrare seguendo la mia logica, non quella impostami dall’alto.

E poi voglio esser libera.
Di diffondere, di smentire le smentite.
Ma soprattutto, voglio che siano liberi di fare i loro lavoro magistrati e forze dell’ordine, anche con l’uso delle intercettazioni. E pazienza se, per qualche strambo motivo, in un assolato e noioso pomeriggio di giugno, un carabiniere sonnacchioso all’improvviso si desterà dalla sua apatia e ridacchierà sotto i baffi, ascoltando la Puccy, che siccome che lei è toscana, e i toscani si sa come sono, hai presente Benigni, no… 

domenica 13 giugno 2010

Nunca mas



“Noi non vogliamo le loro ossa. I nostri figli sono desaparecidos per sempre perché la desapariciòn forzata è un crimine contro l’umanità che non va mai in prescrizione e noi vogliamo che gli assassini paghino per quello che hanno fatto.
Noi non vogliamo tombe su cui piangere, perché non c’è tomba che possa rinchiudere un rivoluzionario. I nostri figli non sono cadaveri: sono sogni, utopia, speranza… Sono quello che furono, che pensarono, che cantarono, che scrissero, che soffrirono. Non si può seppellire tutto questo.”
Le irregolari – Massimo Carlotto.

E’ il racconto di un orrore infinito, una lunga sfilza di nomi e storie che finiscono col confondersi nella mente, perché sono tutte uguali. Pure è importante, che anche solo per dieci minuti, ogni nome, ogni storia, sia emerso dalla massa dei 30.000 scomparsi nella sola Argentina.

venerdì 11 giugno 2010

"...Go"


Crash!
Capita di sentirtelo rimbombare, nelle orecchie, nello stomaco, nelle visceri, quando ti rendi conto che stai pigiando un po’ troppo sull’acceleratore.
Crash!
D’istinto incolli la schiena al sedile, ti irrigidisci sul volante, ti concentri meglio sulla strada, ma l’unica cosa sensata che dovresti fare non la fai.
Crash!
Il botto, lo schianto, lamiere aggrovigliate, l’adrenalina che sale, la vita che ti passa in veloci fotogrammi, e poi chissà, il dolore.
Crash!
Continui a tenere giù il pedale dell’acceleratore, e intanto pensi che se è scritto che tu debba morire giovane, non è poi un modo malvagio di farla finita, in una sera così, con questa luce, il vento carico di odori che ti scompiglia i capelli, la musica, la macchina che risponde bene e affronta veloce l’ultima curva prima che compaia il mare.

Esmeralda

Esmeralda la zingara ha scagliato lontano i sandali di cuoio ed ora danza a piedi nudi intorno al fuoco, facendo roteare la gonna ampia, scandendo il ritmo con un tamburello.
Grani di polvere, piccoli sassi e sterpi sporcano, pungono, graffiano la pianta dei suoi piedi, ma lei non se ne cura e continua la sua danza.
Una scheggia di vetro si incastona nella pelle ispessita e annerita dalla polvere che ricopre il suo tallone che si spacca in più punti, sanguina e duole.


Sangue che si mischia alla polvere formando sulle ferite una crosta scura che ad ogni passo di danza duole sempre meno.
Danza Esmeralda, accelerando il ritmo con gioia selvaggia, per aver vinto e scacciato il dolore. Le sue mani si intrecciano ad altre mani, i suoi occhi incrociano altri occhi, la sua voce si unisce ad altre voci, il suo sudore si mesce ad altri sudori, mentre la gonna colorata ruota vorticosamente al ritmo dei tamburelli.


Poi la musica tace, tacciono canti e tamburi, e non c’è più nessuno davanti al fuoco che va lentamente morendo.
La scheggia di vetro racchiusa in una goccia di sangue riprende vita e pulsa dolorosamente nella pelle ispessita del tallone.
Esmeralda si allontana dal fuoco zoppicando. Un metro più in là ritrova i suoi sandali. Si china a raccoglierli mentre un refolo di vento si infila sotto le sue vesti e le asciuga l’ultimo sudore facendola rabbrividire.

Un altro finale

Tu lo sai già, come va a finire.
Anche se il film non l’hai ancora visto, lo sai già come va a finire.
Pure ci speri.
Che qualcuno intervenga a cambiare la sceneggiatura, che il contadino trovi il coraggio di non tradire i guerriglieri, che il popolo insorga contro il governo oppressore rivendicando i propri diritti, che l’eroe buono non venga catturato e poi ucciso.
Ma il cursore del media player corre veloce, e a te non resta che assistere impotente, al finale previsto
D’altronde è scritto nei libri di storia, si sa già come va a finire.

La storia dei mondiali in Sudafrica invece non è ancora stata scritta, eppure tutti sembrano sapere come finirà per l’Italia. Tu te ne freghi e continui a sperare in un bel finale.
Intanto te la ridi.
Cannavaro e Buffon annunciano che devolveranno parte degli eventuali premi alla fondazione per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, e tu te la ridi. Ogni volta che qualcuno sbeffeggia uno degli ominidi verdi, te la ridi. E intanto speri in un cambio di sceneggiatura. Tipo che un bel giorno, nel bel mezzo di una manifestazione leghista, atterri sulla Pianura Padana un’astronave carica carica di tori alieni. I quali tori alieni si differiscono da quelli terrestri perché odiano il verde. Hai un’idea della scena? Da sbellicarsi dal ridere!

Ecco, ridiamoci su.
Che ci sono storie che non si sa mai come vanno a finire. Tipo che due si incontrano, si innamorano, si sposano, e poi dovrebbero vivere per sempre felici e contenti. E invece non si sa mai come va a finire.
Don Marcello  da bravo parroco ha fatto stampare dei volantini che distribuisce ai novelli sposi, con le istruzioni per l'uso. Valide per la cerimonia, più che per il seguito.
Evitate gli sfarzi, raccomanda. Solo addobbi floreali semplici. Poche fotografie. L’importo minimo dell’offerta è di 150 euro.
Ora si attendono le raccomandazioni con relativo tariffario per battesimi, cresime e funerali.
A quando le offerte speciali?

Tu lo sai già, come va a finire.
E' una discussione simile ad altre già sentite, quella tra Francesco e la signora con gli occhiali firmati, lo sai già come va a finire.
Oggi dal parrucchiere, ieri al supermercato, ieri l'altro sul treno. Lo sai già come va a finire.
E allora li lasci parlare. Ascolti in silenzio la signora lamentarsi del fatto che non è riuscita a prenotare la sua settimana a Tropea, perché è tutto pieno fino a settembre, e la lasci blaterare, sulla crisi che non c’è, sui cattivoni che non rinunciano alle vacanze e costringono lei, e i suoi occhiali firmati, a restarsene a casa. In piena estate. Certo che ce n’è di ingiustizie a questo mondo!

mercoledì 9 giugno 2010

Carta bianca



Dunque, è estate.
Tornano le zanzare, la signora Pina da oggi tiene aperta bottega anche al mercoledì pomeriggio, sui marciapiedi spuntano i primi articoli per il mare, si rivedono in giro le solite facce nuove, cambia la programmazione in tv.
Quest’anno si prospetta un inizio d’estate caliente, se non per il clima che ancora arranca incerto sul da farsi, per i mondiali.
Persino Calderoli, rimasto senza leggi da ardere, dice la sua tanto per tenersi in allenamento con le vaccate, e intanto  il direttorissimo manda in onda in apertura di tigì un servizio sul volo dei nostri eroi azzurri verso il Sudafrica. Lungo, molto lungo pare, per gli standard televisivi.
Il servizio, non il volo.
Chissà se i cassaintegrati dell’Asinara lo guarderanno, il mondiale, e con che animo.
Chissà se gioiranno, se imprecheranno, se criticheranno, se si improvviseranno commissari tecnici come il resto d’Italia.
Chissà se saranno ancora li, alla fine dell’estate, o se si saranno arresi e saranno tornati a casa.
Sempre ammesso che ce l’abbiano ancora, una casa. Che il mutuo, si sa, da solo non si paga.
Dunque, è estate.
Tra qualche giorno, ci scommetto, torneranno in tv Peppone e don Camillo.
Intanto è tornato Totò.
L'altra mattina davano I due colonelli, ci buttavo uno sguardo intanto che ciabattavo per casa.
Mi sono fermata a guardare la scena in cui Totò rifiuta di bombardare il paesino greco evitando così una strage di civili. Un rifiuto che si carica di dignità e voglia di riscatto man mano che va avanti, alimentandosi dell’arroganza e del disprezzo dell’ufficiale tedesco.
E tu che sei li, ferma a guardare, ti ritrovi a tifare per lui, manco fosse il portiere della nazionale che deve parare il rigore della salvezza. Ed è liberatorio come un pallone che entra nella porta avversaria a un minuto dalla fine, quel “Ci si pulisca il culo” urlato contro l’uomo con la carta bianca.
Pulitevici il culo. Non male come nome da affibbiare ad un movimento di disobbedienza civile.
Che poi, a loro, ai nostri colonnelli, nessuno gliel'ha mai data, carta bianca.

Del doman non v'è certezza



Sole.
Grigio.
Caldo.
Freddo.
Sole.
Grigio.
Pioggia.
Sole.

Ma non era marzo il mese pazzo?
Mica si fa cosi, però. Se ci togliete pure le verità acquisite e tramandateci dai nonni dei nostri nonni, a quali certezze ci appigliamo?
D’altronde lo diceva pure un tizio tanto tempo fa che “Del doman non v’è certezza”.
E invece io la voglio una certezza, una qualsiasi, cui appigliarmi nel mio mare di incertezze.
Grigio.
Oggi è decisamente grigio.
Posso affermare con assoluta certezza che oggi il tempo è decisamente grigio.
Tra un po’ verrà a piovere.
Ed io sono uscita di casa con le infradito.

Non imbrocco mai i tempi.
Mi innamoro quando l’altro si è disinnamorato.
Mi vien voglia di far l’amore quando lui vuol dormire.
Mi accorgo che mi stanno pugnalando quando ormai il taglio è fatto.
Allungo una mano quando non c’è più un viso da accarezzare.
Mi ricordo che devo guardare dallo spioncino prima di aprire la porta dopo che l’ho spalancata e i ladri sono entrati in casa.
Mi ricordo di pagare la bolletta quando vengono a staccarmi la luce.
E metto le infradito quando sta per piovere.
Sono un disastro di donna.
Anche questa è una certezza.

Storie.
Mi piace raccontare delle storie. Di quelle di cui la televisione non si occupa perché non fanno notizia.
La ragazza bruna mi mostra orgogliosa la struttura che in pochi anni ha tirato su con il suo socio.
Mi comunica con un sorriso che l’azienda finalmente ha ottenuto la certificazione di qualità.
E che le hanno fatto i complimenti per come ha organizzato il lavoro.
Mi mostra con malcelata soddisfazione il fatturato raggiunto intanto che le do una mano a preparare i documenti per una gara d’appalto.
La Gara. Quella importante, che tiene su il volume d'affari.
La aggiudicano ad un’altra azienda che sulla carta ha i requisiti giusti, ma nella realtà è tutta un’altra storia. Tanto chi dovrebbe controllare non controlla. Perché le cose vanno così, e la bruna vuol mollare tutto.

- Fate ricorso al TAR, chiedete una verifica dei documenti, denunciate l’Amministrazione, non arrendetevi cosi – e mi guarda con tristezza rassegnata, secondo te non ci ho già pensato, e intanto che verificano e il tempo passa che faccio? Mando la gente a casa, chiudo baracca e burattini e vengo a mangiare a casa tua?
- Chiamiamo Striscia la Notizia – suggerisce il socio.

Eccolo là, lo scatolotto magico. La panacea per le storture della società. Supereroi più o meno mascherati che si battono per difendere i tuoi diritti quando chi dovrebbe ascoltarti e intervenire volge lo sguardo altrove. Ce n’è per tutti i gusti. Se Capitan Ventosa ti pare troppo ridicolo nel suo completino giallo, puoi sempre rivolgerti allo scimmiesco Ghione, o a quella faccia da beccamorto di Moreno Morelli.

- A proposito di facce da beccamorto, l’altro giorno ho visto Alessandro – dice poi la bruna cambiando discorso – è venuto a propormi un contratto, ma lo sai che si è proprio ingrandito?

Certo che lo so. Li vedo tutti i giorni i suoi camioncini per strada, con stampigliato sui cassoni il marchio che avevamo studiato io e il suo ex socio. Testa a testa, nella vecchia Prisma grigia, davanti al mare a fare schizzi di loghi e ad inventare nomi per la costituenda società
- Se le cose ingranano l’anno prossimo ci sposiamo.

- Sposiamoci lo stesso, c’è il mio stipendio, per gli inizi possiamo farcela.

L’ex socio di Alessandro…uno che credeva alle regole da rispettare. Un’altra storia di nessun interesse per la televisione. Un’altra storia dai contorni sbiaditi dal tempo, che non vale più la pena raccontare.
Ha piovuto.
Giusto quattro gocce miste a terra, che hanno sporcato la macchina dieci minuti dopo che l’avevo fatta lavare.
L’ho già detto, no, che sbaglio sempre i tempi.
E pure il cielo è sbagliato.
Non è grigio, non è azzurro.
E’ come se la mano maldestra di un artista distratto avesse versato dell’acqua sulla tempera ancora fresca. I contorni delle nuvole si notano appena, sfumano senza forma nel cielo sbiadendone il colore.
Cielo pesante, che sembra voler venire giù. Te lo senti addosso, schiacciarti con il suo peso, avvolgerti in una cappa che ti opprime e ti fa respirare male.
Ci vorrebbe un bel temporale per scaricare la tensione che c’è nell’aria.
E invece da qualche parte sta uscendo il sole. Non si vede ancora, ma la luce è cambiata.

Del doman non v’è certezza.
E da un po’ di tempo a questa parte, l’incertezza del futuro mi spaventa.
Forse sto invecchiando.
Sarà meglio aspettare per le infradito.
Ma si, domani metterò i sabot

martedì 8 giugno 2010

Il settimo giorno

È che non ci si rende conto di quanto fanno schifo le schifezze sparse per casa, finchè non si utilizza un aspirapolvere ecologico.

Capelli, peli di gatto, polvere, briciole e residui vari, che presi singolarmente altro non sono che nei, lievi imperfezioni allo standard di ordine e pulizia che ritieni necessari per la tua tana, raggruppati tutti insieme in pochi decilitri di acqua diventano una mota schifosa, nerastra, puzzolente, vomitevole, che ti fà pensare con raccapriccio al fatto che, in quello schifo sparso per casa, hai dormito, mangiato, cantato, pensato, vissuto per alcune ore, senza rendertene conto.

Ed è li, mentre svuoti l’acqua sporca nel cesso, che capisci che Dio, se esiste, non può essere donna.

Altrimenti ci avrebbe pensato, a creare un enorme aspiramonnezza cosmico per le pulizie settimanali.

Giù il bottone e alè con il risucchio, via nella vaschetta dell’acqua pedofili preti e non, signori della guerra, spacciatori di merda, politici corrotti, mafiosi con la coppola o col colletto bianco, ladri di sogni, tizi che ridono alle tre del mattino mentre da un’altra parte dei ragazzi muoiono perché qualcun altro ha risparmiato sul cemento per pagare una mazzetta in culi sonanti.

Allora si, che avrebbe un senso, riposare il settimo giorno.

domenica 6 giugno 2010

Il filo sottile


Dice << Il filo sottile che tiene insieme due persone.>>
<< Quale filo? >> dice lei, come se tornasse a terra da una grande distanza.
<< Il filo di tutto quello che le tiene collegate anche quando sono lontane. Anche quando non si vedono e non si parlano.>>
<< Perchè dici filo? >>
<< Perchè è una cosa molto sottile e molto resistente, no? Che puoi anche non vedere, ed è estensibile quasi senza limiti attraverso la distanza e il tempo e l'affollamento delle altre persone che occupano lo spazio e lo attraversano in ogni direzione.>>
Lei lo guarda. Lui pensa a quello che succede ogni volta che con M. decidono di non sentirsi più e il filo che li collega sembra sul punto di spezzarsi: al senso di vuoto che gli cresce intorno e gli preme sui timpani e gli risucchia l'aria dai polmoni e gli impedisce di stare fermo in un punto.
Dice << Però non è affatto scontato che ci sia, il filo >>.
<< No? >>
<< No. Magari due pensano di essere molto legati, poi appena provano ad allontanarsi scoprono che in realtà stanno benissimo ognuno per conto suo.>>
<< E allora perchè pensavano di essere legati?>>
<< Perchè erano tenuti insieme da una colla di pura abitudine così forte da sembrare una saldatura permanente, ma appena uno dei due prova a staccarsi non c'è nessun filo che lo segua.>>
<< Che triste.>>
<< Si. La maggior parte dei legami sono di questo genere, credo.>>
<< Come fai a sapere che invece il filo c'è?>>
<< Quando provi a romperlo, e ti trovi in caduta libera attraverso il senso delle cose.>>
<< E di cosa è fatto, questo filo?>>
<< Di uno scambio continuo di domande e di risposte. Sguardi, anche solo immaginati. Assonanze e intuizioni e sorprese, curiosità reciproca che non si esaurisce. E similitudini, no? E differenze.>>
Lei fa per dire qualcosa, ma il suo cellulare suona, con la buffa musichetta sincopata che ha scelto tra le tante suonerie possibili. Subito dopo suona quello di lui. Si mettono a parlare tutti e due, ognuno inclinato verso il proprio finestrino per schermarsi dalla voce dell'altro.

(Pura vita – Andrea De Carlo)


Ti è capitato. E più di una volta.
Di “sentire” il filo invisibile tendersi attraverso spazio e tempo. E di percepire distintamente i pensieri, le emozioni, le sensazioni, scorrere su di esso.
Conosci il senso di vuoto che prende quando quel filo ti impongono o ti imponi di spezzarlo. E la frenesia con la quale cerchi di riempire gli spazi vuoti rimasti con parole, risate, gesti convulsi.
Sai fino a che punto può penetrarti nella carne ogni volta che lo tiri cercando delle conferme. E conosci l'ostinata caparbietà con la quale percorri la strada che esso ti indica anche se logica, raziocinio e buoni consigli vorrebbero che camminassi dalla parte opposta.
Poi arrivi ad un certo punto e ti dici che è ora di smetterla con le baggianate. E che i fili invisibili non esistono, sono solo frutto della tua fantasia, una fiaba che ti racconti per dare una pennellata di vernice speciale a cose assolutamente ordinarie come le “abitudini così forti da sembrare saldature permanenti”.
Eppure ti capita ancora. Di fermarti all'improvviso, qualsiasi cosa tu stia facendo, con i sensi in allerta. Di restare sospesa per qualche attimo concentrata su quella sensazione strana che ti prende alle spalle. Di scacciarla, infine, con un sorriso ostinato. Prima che la sensazione diventi qualcosa di tangibile e traducibile in parole.

Il lercio




Quattro giorni in compagnia del lercio e non c’è scampo alla misandria.
No, perché lo sappiamo bene che l’uomo è fatto di materia, oltre che di spirito.
E la materia comprende cose poco piacevoli quali eczemi, emorroidi, caccole, vermi solitari, evacuazioni di varia portata e natura, odori e afrori a dir poco sgradevoli.
E sappiamo pure che per i tanti lerci che ci sono in giro la donna altro non è che un buco  con tutto un inutile resto intorno.
Però ritrovarsi a leggere tutto questo lerciume nero su bianco, senza un briciolo di umanità a controbilanciare, fa salire lo schifo pagina dopo pagina.
Ti si dipinge tutto in faccia, il disgusto che provi man mano che vai avanti. Non ti arrendi solo perché chi te ne aveva parlato ti aveva avvisata, guarda che è tosto, ha fatto un po’ senso anche a me.
E se ce l’ha fatta lui, perché tu no?


Così arrivi alla fine. Ma  è troppo tardi, non serve a nulla  scoprire che il lercio è così lercio perché ha avuto un’infanzia difficile. Non lo rende più umano sapere che sua moglie l’ha  mollato per un negro, lui, polis razzista fascista e pure tanticchia misogino. Ormai ti è rimasta nella capoccia l’immagine di lui che sniffa i pantaloni che puzzano di piscio, prima di indossarli non avendone altri puliti. E quell’altra, di lui che leva la forfora dalle spalle della ragazzetta subito dopo averla costratta a fargli un servizietto.Inutile aggiungere che la forfora non proviene dal cuoio capelluto.

Enough To Be On Your Way



avevo una casa a due piani un tempo.
e al secondo piano c'era uno studio.
che diventava il mio regno, quando di notte la casa si addormentava e nel silenzio si sentiva solo il ticchettio delle dita che correvano sulla tastiera.
era un periodo di nuove scoperte.
non sapevo, ad esempio, che la musica poteva correre sui fili ...
invisibili attraversando l'italia da un capo all'altro, e giungendo fino a me nei tempi ragionevolmente brevi che la connessione analogica di un modem a 16 kbps permetteva.
ripenso alle notti nello studio della casa a due piani ogni volta che riascolto questa canzone.
a volte si sentiva il rumore del mare.
a volte ero felice.
spesso mi entusiasmavo per le piccole cose.
riuscivo a sorprendermi, financo.


venerdì 4 giugno 2010

Yucatan



"La cosa ridicola è che ogni volta che dopo appostamenti e attese e tentativi a vuoto e approcci ripetuti riesco ad arrivare a contatto con una storia che mi affascinava, mi riempio di questa delusione istantanea. Non ho ancora un’idea precisa di cosa sia davvero da vicino, e già mi sembra dieci volte più semplice e piatta di come avevo creduto di vederla, senza traccia delle ombre e i risvolti e gli spessori nascosti che mi ero immaginato a distanza. Vado avanti per mesi e anni a cercare di convincere tutti della sua straordinarietà, a sottolineare e semplificare e amplificare sensazioni finchè qualcuno ci crede e va a prendermela e me la porta davanti e si mette di lato in attesa che io ne faccia un uso almeno adeguato al suo investimento di energie per procurarmela, e invece di essere contento sto fermo a guardarla pieno di imbarazzo ed estraneità. Mi sento come uno che affitta per corrispondenza una casa in base alla più vaga delle descrizioni, e senza averci ancora messo piede progetta incontri e cene e feste e situazioni di ogni genere nelle sue stanze, e man mano che aggiunge dettagli alle sue immagini mentali riduce le probabilità che possano mai corrispondere a quel contenitore. E naturalmente è troppo tardi per cancellare il contratto e andarsene via…” Yucatan – Andrea De Carlo

Continuo a comprare e leggere i libri di De Carlo ogni volta che me ne capitano di nuovi tra le mani, anche se nessuno è bello quanto il primo che ho letto.
E’ una specie di tributo all’amore ormai passato, l’ultimo rituale che continua a sopravvivere, quando tutte le altre abitudini sono ormai andate, sostituite da altri rituali, altri libri, altre canzoni, altri pensieri.
Continuo a comprare De Carlo e mi ostino a leggerlo anche quando le sue storie mi annoiano.

Lo leggo distrattamente, spesso velocemente, per arrivare in fretta all’ultima pagina, per poter concludere il rituale, chiudere il libro, e riporlo in libreria, insieme agli altri. E succede quasi sempre cosi, ad un certo punto il ritmo della lettura rallenta, le parole si staccano dalla pagina e iniziano a danzarmi davanti agli occhi, acquistando un significato avulso dalla storia per le quali erano state scritte. E diventano parole mie, che traducono pensieri e sensazioni e situazioni mie.
E’ successo anche stavolta, di ritrovarmi nella pagina di un libro, ben descritta con i miei entusiasmi iniziali, con la curiosità di una bambina a cui occhi anche il giocattolo più semplice appare straordinario, finchè non ce l’ha tra le mani, finchè non capisce il meccanismo che lo fa funzionare.
Finchè non arriva, puntuale, il senso di estraneità.

- La questione non è attirare la tua attenzione, ma mantenerla. – mi disse un tizio di passaggio un po’ di tempo fa.
Era con tutta probabilità una frase ad effetto del suo repertorio. Il fatto che ci avesse azzeccato, pura coincidenza.





Zanardi










il blues non apre le porte






ci si chiude dentro ansando






inseguito dai cani.
nero non suonare per i bianchi
compagno non dire che è






un lavoro come un altro.






t'ho visto salire le scale
chiuderti nel bagno
per festeggiare. bang. scoppiare.
il foglio cominciato a metà
matite vecchie, colori
inseguito dai cani.
nero non suonare per i cani
dipingimi gli anni che avresti
potuto vivere.







(Stefano Benni)

Viento




Ha litigato coi panni rimasti stesi ad asciugare.
Ha squarciato la cappa asfittica di scirocco che avvolgeva di grigio cose e persone soffiando via fino all’ultimo, appicicaticcio residuo.
Si è placato, infine, lasciando sbuffi di nuvole bianche su un cielo azzurro cartolina.

E' arrivato stanotte.

Con uno sfondo così le enormi eliche delle pale eoliche appaiono come simulacri di un antico dio dimenticato