giovedì 15 luglio 2010

Unendo i puntini da 1 a 49



Seduta sulla panchina del parco dell’ospedale, unisco i puntini da 1 a 49 tracciando linee incerte sulla mia settimana enigmistica nuova di zecca e intanto guardo i piedi della gente che passa. 


Piedi che camminano veloci, che sanno dove devono andare e sanno di doverlo fare in fretta, per arrivare prima, per beccare il numerino, per sperare di essere a casa per l’ora di pranzo. 

Piedi che camminano incerti, si fermano a chiedere indicazioni date quasi sempre in modo impreciso e svogliato, sballottati dal reparto, all’ufficio tickets, al CUP, all’ambulatorio.
Piedi che se la prendono comoda. Indossano quasi sempre zoccoli verdi o bianchi e vanno senza fretta, portando carte o fumando una sigaretta, chiacchierando delle ultime novità del reparto. Tanto i pazienti pazientano, aspettano stipati nelle sale d’attesa tra ascelle sudate e aliti pesanti, qualche zingarella che viene a chiedere l’elemosina, e l’ambulante cinese che cerca di vender loro un accendigas. 

Seduta su una panchina del parco dell’ospedale, annerisco con la penna gli spazi con il puntino e fumo una sigaretta. Dal groviglio di linee curve emerge la figura di un guerriero antico, greco o romano non saprei dire.
Ho scoperto di recente che mi piacciono i film epici. Ho pianto fino a farmi venire il mal di testa guardando Troy, un po’ meno con 300.
Mi commuovevo anche da ragazzina, quando l’Iliade ce la facevano studiare alle medie e provavo una forte antipatia per Achille.
Ettore invece era il mio eroe. Forse perché era solo un uomo, fragile come tutti gli uomini, nessuna corazza invisibile proteggeva le sue carni durante la battaglia.

Seduta su una panchina del parco dell’ospedale, fumo una sigaretta e guardo la gente. Dormire sotto i ponti non è un modo di dire. Li ho visti stamattina arrivando in città, un uomo e una donna sbucare da sotto il cavalcavia. Avevano l'aria di chi si è appena svegliato, ma tornerebbe volentieri a dormire. Alle loro spalle un materasso, un angolo di coperta azzurro stinto, un bidone di plastica gialla.

Un ragazzo si avvicina barcollante e mi chiede una sigaretta. Ha la schiuma alla bocca e la faccia da bambino, non puoi aver paura di uno con la faccia cosi, potrebbe essere tuo figlio. Gli passo il pacchetto, lui ne prende una. Mi ringrazia sorridendo poi mi manda un bacio con la mano e si allontana.

La tipa fuori di testa è seduta da mezzora alla stessa panchina, parla con chiunque le capiti a tiro. La gente dopo un po’ si alza e se ne va e lei continua a parlare da sola. Ma il sole picchia, e quello è l’unico posto al fresco ancora libero. Tra il sole e la matta la gente sceglie quest’ultima. Tanto basta far di si con la testa continuando a pensare ai fatti propri.

Il tizio che si avvicina trascinando una grande busta non ha per niente una faccia rassicurante. Vuol vendermi un anello, gli dico che non mi interessa. Vuol vendermi un paio di jeans, gli dico che non mi interessano. Tu compra, jeans buoni, prezzo buono, tu ha bisogno, pantalone tuo rotto. E intanto mi tocca la spalla, e intanto indica i miei jeans con i tagli sulla coscia. Gli dico in malo modo che non mi serve nulla, infastidita dal fatto che mi viene troppo vicino. Se ne va lanciandomi un’occhiata di disprezzo, tu non ha soldi nemmeno per comprare pantalone nuovo. M’ha presa per una pezzente. Ma vaffanculo.

Seduta su una panchina del parco dell’ospedale guardo le linee incerte che uniscono i puntini da 1 e 49 e non capisco cosa ho disegnato. Però ho chiuso il cerchio, lasciando fuori i tarli che rosicchiano e corrodono. Al loro posto è rimasto un bruco che cammina a passi lenti sopra il cuore tenendomi compagnia, e che ogni tanto mi fa il solletico e mi pizzica il naso.

martedì 13 luglio 2010

Where did you sleep last night



Così ho seguito il tuo consiglio.

Ho messo due cose nello zaino, ho fatto il pieno, ho pulito il vetro della macchina che il serbatoio dell’acqua è sempre vuoto, ho spento il telefono e sono andata.
Non è successo subito.
Ero li, seduta al suo fianco, facevo domande, davo risposte, mi guardavo intorno senza vedere, restando aggrappata al filo dei miei pensieri.


Poi ha allungato una mano, mi ha sfiorato il viso. Un gesto casuale, o forse un modo per richiamare la mia totale attenzione, non so.
Però da quel momento in poi è andata proprio come hai detto tu.
I pensieri sono evaporati.
Ho staccato completamente la spina dal ieri, dal domani.
È esistito solo l’adesso.

Un uomo, una donna, il pezzo d’autostrada più bello d’Italia, giù, fin dove Scilla tende la mano a Cariddi.
E poi di nuovo su, la statale che ti porta all’altro mare, senza fretta, senza una meta precisa, discorsi leggeri, la musica, l’influenza della luna sul nostro umore, guarda che bello quello scorcio, senti che stacco che dà qui il basso.
Il sapore del pesce spada marinato, il profumo dell’origano e dell’olio d’oliva sulla focaccia caldissima, la Falanghina che scende nella gola fresca al punto giusto, le gambe che si allungano sotto il tavolo, le mani nelle tasche dei pantaloni, il pensiero che non è quello il modo appropriato per stare seduti al ristorante ma adesso non importa, sto bene così.
La sua mano che si chiude a pugno battendo sul petto, siamo pochi, è vero, ma resistiamo. E poi la riapre, con l'altra a suonare la batteria sul tavolo, sfidandomi a indovinare il pezzo

Progetti.
Un giorno, quando ne avrò abbastanza di carte nella mia vita, aprirò un ristorante.
Un giorno, quando avrò abbastanza soldi, restaurerò le due stanze che ho nel borgo antico e ne farò una piccolissima locanda, pochissimi coperti, solo per gli amici, una stufa a legna di quelle che si usavano una volta.
Poi la locanda prende vita dalle nostre parole, e le due stanze non bastano più a contenere i nostri progetti, i dieci tavoli, il caminetto, la stanza per fare musica dal vivo, solo unplugged però, solo per poche persone, e allora si comprano le due casette del medico, sono attaccate l’un l’altra da un passaggio in pietra, dovresti vederlo, è fantastico.
Ed io lo vedo, e già mi sono innamorata, del borgo, del passaggio in pietra, della locanda, degli amici che si ritrovano a fare musica, e glielo dico.
Facciamolo insieme, ribatte, ed io rispondo si, facciamolo, e lo dico sul serio, perchè è adesso, e tutto è possibile, fattibile, realizzabile.

E ancora il sapore della prima sigaretta dopo sei mesi, e la testa leggera per il vino, e l’aria della notte, e i Doors a tutto volume e lui che si esalta parlando di Jim Morrison che forse non è morto, e poi gesticola mentre guida un po’ troppo veloce, e potrebbe anche finire qui, stasera, sul pezzo d’autostrada più disastrato d’Italia.
Invece non finisce, e siamo nel piccolo borgo, mi mostra il passaggio in pietra, e i balconcini con la ringhiera in ferro battuto, e la voce struggente di Kurt Cobain è il sottofondo ideale, sembra quasi rivivere, bello e dannato con la sua chitarra, tra queste mura antiche.

Il sonno è arrivato improvviso, pesante, immediato, come una saracinesca che si abbassa all’ora di chiusura, tutti fuori, solo buio, e silenzio.
Quando mi sono svegliata l’adesso era sparito, lasciando il posto all’oggi. Aprire gli occhi e ritrovare intatti i miei pensieri, gli stessi di ieri, uguali a prima dell’adesso, è stato un tutt’uno.
Ho rispettato il copione, ho sorriso, allungato una mano, e con la testa ero già fuori, in viaggio verso casa.
In macchina ho riacceso il telefono e ti ho trovato, ciao splendore come va.
Avrei voluto scrivertelo, che avevi ragione, i pensieri si possono scacciare, ma sono come cani fedeli, li ritrovi ad aspettarti dietro la porta. Ma tanto il silenzio che segue il fracasso della baldoria lo conosci benissimo, anche se fai di tutto per non sentirlo.

I live uptown I live downtown I live all around

My girl my girl where will you go

mercoledì 7 luglio 2010

Il Signor Nessuno.




La notizia è vecchia di più di una settimana, ormai.
Come vecchia è la notizia della morte di Pietro Tarricone.
Massimo rispetto per entrambi, per carità, si però...
Uno è morto per sfizio, lanciandosi col paracadute.
L'altro è morto in ospedale dopo un incidente sul lavoro alla ThyssenKrupp di Terni.
Dell'uno si è parlato perfino al tiggì.
Sull'altro, silenzio di tomba.
Si, lo so, Leonardo Ippoliti non era famoso, è dovuto morire perchè qualche blogger si occupasse di lui.
Però aveva un bel sorriso, e doveva essere un compagnone, almeno a giudicare dalle foto che i suoi colleghi hanno mandato su youtube.
Loro, i colleghi, pare non abbiano nemmeno potuto partecipare al suo funerale.
Azienda e sindacati hanno deciso che la fabbrica non poteva fermarsi, nemmeno per un turno, nemmeno per dare l'ultimo saluto al signor nessuno.

The Crows



Ombre scure, malefiche

Hanno fiutato la preda

Gracchiano

Con voce stridula, fastidiosa

Ridono scioccamente

Si avvicinano

Con cautela, guardinghe

Osservano la carcassa

Fameliche

I loro occhi, maligni

Pregustano il pasto

Affondano

Nella carne tenera

I loro becchi affilati

Stupide

Creature senza cuore

Senza spina dorsale

Nutrono
Con carne morta

La loro carne morta

 
 

All you fascists


Si, lo so, non si fa.
Infierire sul nemico, dico. Non si fa.
Non è politically correct. Non è fine.
Non è da signore per bene.
Però io, che sono popolana, del bon ton me ne frego e infierisco.
Oh.
 
No, perché non se ne può più, di incassare con stile e eleganza.
Qua bisogna reagire.
Bisogna passare al contrattacco.
Bisogna usare le loro stesse armi.



Così l’ho fatto.
Ho stampato l’articolino che parla del consigliere provinciale del PDL.
Si si, proprio lui, il novello Mussolini. Quello che, in preda a visioni mistiche per consumo eccessivo di coca, si è affacciato al balcone facendo proclami.
Qualcuno poteva avvisarlo, però, che non era il balcone di piazza Venezia, ma quello della casa delle trans su cui stava indagando.

E quindi niente.
Ho stampato l’articolino, ci ho scritto su due note a margine, e l’ho consegnato al mio collega destrorso, appena rientrato dalle ferie. Lo stesso che mi aveva massacrata all’epoca dei fatti di Marrazzo. Devo ammettere che ha reagito sportivamente. Mi ha perfino offerto il caffè.

Si, lo so, non si fa.
Stuzzicare un laido maiale fascista, dico, non si fa.
No, perché con l’aria che tira non si sa mai, come andremo a finire.
E se arriva davvero la dittatura, quello, l’autista porco e fascista, come minimo lo mettono in uno squadrone della morte.
E allora si, che sarebbero cazzi amari!

Prudenza, occorre prudenza! Che i tempi sono bui e il futuro incerto.
Solo che a essere prudenti non ci si diverte.
E invece io, l’altra mattina, ho ghignato come una matta.

L’ho aspettato al varco.
L’autista porco e fascista, dico.
Quello che da sei anni mi rompe le palle chiedendomi il voto ad ogni elezione pur sapendo benissimo da che parte sto, e poi attacca la solita filippica anticomunista tipica del fascista idiota.
Quello che più lo tratti di merda e più ti srotola tre metri di lingua manco fosse un labrador all’equatore.

La musica ce l’avevo già pronta nel media player.
La gambetta l’ho accavallata al momento giusto, girandomi di tre quarti sulla poltrona intanto che partiva a tutto volume “Compagni dai campi e dalle officine prendete la falce e portate il martello...”

Il messaggio era chiaro: tu bestia fascist, io bella comunist, gira al largo che non c’è trippa per gatti!
Ma non sono del tutto sicura che lo abbia recepito!
D'altronde, da un fascista, per giunta stupido, per giunta laido, cosa ti vuoi aspettare...

Per fortuna c'è la Lines


No, perché io dico, la mela l’abbiamo mangiata tutti e due?
Abbiamo disobbedito entrambi ai Suoi ordini?
E allora perché Egli si è accanito contro di me?

Si, vabbè, è iniziato tutto per colpa mia. Sono stata io a dar retta al serpente. Ed a staccare la mela dall’albero. Ed a convincere Adamo a mangiarla.

Ma lui, allora? Lui che per una volta nella storia aveva la possibilità di fare bella figura comportandosi da vero uomo, che ha fatto lui? Invece che tirarmi una sberla facendo volare il frutto del peccato dalla mia mano direttamente sulla capoccia del serpente si è fottuto la mela. Fottendosi al contempo il paradiso terrestre.

Solo che lui se l’è cavata con un calcio in culo che l’ha fatto atterrare dritto dritto in questo schifo di mondo di cui non vi dico nulla perché già ne sapete quanto e meglio di me.
A me, oltre al calcio, al triste mondo e al bel tomo di Adamo, sono toccate in sorte due o tre incombenze tipicamente femminili che mi complicano la vita più di quanto non sia essa stessa per sua natura complicata.

Il bello è che all’inizio, quando Egli mi scacciò tuonandomi contro “Tu donna partorirai con gran dolore”, pensai persino di essermela cavata bene. Eh si, perché tra un parto e l’altro passano minimo nove mesi. E nel frattempo un modo per trombare senza partorire si trova. Basta un po’ di fantasia.
Le foglie di banano, per esempio. Una volta ne avvolsi un paio intorno al pistolino di Adamo fissandole con latte di fico. Lo scopo era quello di non disperdere il seme in prossimità di incroci pericolosi. E avrebbe funzionato benissimo se quello non fosse stato allergico!
C’è da dire che l’effetto anticoncezionale l’abbiamo ottenuto lo stesso visto che a causa delle pustole non abbiamo trombato per sei mesi! Per fortuna poi qualcuno ha inventato pillole e preservativi, e almeno un problema è stato risolto.

Ma me ne è rimasto un’altro. Quello che per cinque giorni al mese trasforma una donna in una specie di mostro gonfio, indolenzito, sanguinolento e depresso. E per gli altri venticinque la sottopone ad un’altalena di sbalzi d’umore e altri fastidi vari noti come sindrome pre-mestruale.

Per fortuna c’è la Lines che si prende cura di me mettendomi a disposizione una vasta gamma di prodotti per "quei giorni". Ce n’è per tutti i gusti: lunghi, corti, medi, con filtro, senza filtro, con ali, senza ali, con busta, senza busta, sottili, extra sottili, per flusso abbondante, extra-abbondante, medio, leggero, notturno, diurno, etc.
E non è finita qui. Come un’amorevole mamma, essa dispensa preziosi consigli stampandoli sulle bustine che avvolgono gli assorbenti.
Tipo che tu, dopo una notte insonne passata a contorcerti nel letto con i crampi alla pancia, ti siedi sul water a far le tue cose, prendi il tuo bel pacchetto di extralunghiconfiltroconalisuperassorbenti, ne peschi a caso uno e poi, un po’ come fai con i baci perugina o con i biscotti della fortuna al ristorante cinese, leggi speranzosa le perle di saggezza che ti sono toccate in sorte:

“E’ buona abitudine intensificare le normali pratiche igieniche durante il periodo mestruale”
No, perché se non me lo diceva la Lines io mica ci arrivavo da sola! Anzi, è stato il mio sogno di sempre allevare una colonia di batteri nelle parti intime, pensa un po’.

“Lo sai che con il ciclo mestruale puoi fare tranquillamente il bagno a mare?”
Certo. Poi se l’acqua si colora di rosso posso sempre dire che ho il costume che stinge..
“Lo sai che esistono piante come l’agnocasto e il tanaceto che hanno effetti benefici sui disturbi del ciclo e della sindrome premestruale?”
Questo non lo sapevo. Visto che ci sei dimmi pure dove cacchio li trovo stamattina l’agnocasto e il tanaceto, che avrei giusto giusto qualche piccolo disturbino da alleviare.

“Lo sai che è un bisogno molto comune desiderare un dolcetto nel periodo mestruale?”
Mi stai prendendo in giro, vero? Un barattolo di nutella, due tavolette di cioccolato e tre nastrine del mulino bianco e mi son fermata perchè non avevo null'altro da spazzolare e tu mi parli di dolcetto?

“Lo sai che durante il ciclo mestruale è consigliabile indossare indumenti comodi e traspiranti?”
E tu lo sai che un bacio è un apostrofo rosa tra le parole ti amo? E lo sai che non esistono più le mezze stagioni? E lo sai che non c’è trippa per gatti? E lo sai che avete rotto le balle tu, le perle di saggezza, Adamo, la mela, il serpente e tutto l’universo creato?

Al danno la beffa.
Cornuta e mazziata.
Che poi quella cazzo di mela non aveva nemmeno il bollino blu.